L’abuso all’infanzia

Il mondo in cui viviamo non è a misura di bambino, né come spazi né come tempi. L’infanzia ha bisogno di molteplici cure, che per essere efficaci, presuppongono un’attenzione costante da parte delle istituzioni e della società nel suo complesso. Una società che aspiri a sopravvivere non può non reputare i bambini la risorsa più preziosa sotto ogni punto vista.
I motivi che spingono ad affrontare ed approfondire il tema della condizione infantile sono dunque molteplici. In primo luogo, una certezza: di fronte ad una società sempre più articolata e complessa, in cui i termini di analisi e di riferimento tradizionali perdono peso e attendibilità, un approccio scientifico, di tipo socio-statistico, può fornire elementi utili per elaborazioni teoriche, e per applicazioni pratiche, che vogliano essere davvero efficaci per comprendere ed aiutare i bambini.
Purtroppo, oggi come ieri, sull’infanzia gravano indifferenza, minacce, abusi. La generale diffusione del benessere ha colmato i bambini di cose, spesso inutili, instillando negli adulti la subdola illusione che tutto ciò di cui i figli abbisognano possa essere comprato.

Lo sviluppo e la socializzazione precoce dei bambini rendono necessarie una ridefinizione del percorso di formazione degli adulti al ruolo genitoriale, ma anche l’ideazione e l’implementazione di strumenti di aiuto e di prevenzione di tutte le forme di inadeguatezza e di trascuratezza nella cura dei bambini, specialmente nelle prime fasi della loro crescita.

Oggi qualunque intervento di cura e di aiuto all’infanzia e all’adolescenza deve poter contare su una rete di risorse integrate e qualificate che utilizzi linguaggi e procedure riconoscibili e che sappia operare non solo nell’emergenza, ma soprattutto nel medio e lungo periodo.

La sfida che le istituzioni e le organizzazioni al servizio dell’infanzia debbono saper cogliere è quella del miglioramento della qualità degli interventi e della formazione

La diversa ottica con cui viene osservato il bambino e i soprusi che può subire, insieme alla nuova cultura e stile di vita, ha tolto il limite secondo cui il maltrattamento infantile era circoscritto a quello fisico e sessuale, per estenderlo a una visione più ampia in cui vengono presi in considerazione la trascuratezza e gli abusi psicologici. Si è passati dalle prime descrizioni della “sindrome del bambino battuto” (Kempe e Silverman, 1962) patognomonica della violenza sui minori all’individuazione di forme di violenza più difficilmente riconoscibili ma a volte molto più gravi e devastanti non solo nel fisico ma, soprattutto, nello sviluppo emozionale e psichico del bambino.

Frequentemente la violenza che grava su un bambino non è unica ma contemporaneamente o in tempi successivi convergono su quel bambino varie forme di violenza. Ed è proprio per questo motivo che Montecchi propone di parlare di “abuso all’infanzia” come derivazione dal termine inglese child abuse, in quanto onnicomprendente tutte le forme di maltrattamenti e violenze, aderendo anche alla definizione data dal Consiglio d’Europa secondo cui negli abusi vengono individuati “gli atti e le carenze che turbano gravemente il bambino, attentano alla sua integrità corporea, al suo sviluppo fisico, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono la trascuratezza e/o le lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di altri che hanno cura del bambino”. E’ sulla base di tale definizione, supportata da varie esperienze cliniche, che Montecchi propone la seguente classificazione degli abusi (Montecchi, 1991 b).

  1. Maltrattamento:
    a) fisico: è la forma più manifesta e facilmente riconoscibile e la meno dannosa se non mette a repentaglio l’incolumità del bambino;
    b) psicologico: è forse l’abuso più difficile ad essere individuato, se non quando ha già determinato gli effetti devastanti sullo sviluppo della personalità del bambino; in notevole incremento negli ultimi anni con l’ipertrofia della società consumistica e materialistica e la crisi della famiglia.
  2. Patologia della fornitura di cure. Un tempo identificata nella incuria, in realtà viene individuata non solo nella carenza di cure ma anche nella inadeguatezza delle cure fisiche e psicologiche offerte, comprendendole sia nel senso quantitativo che qualitativo. Quanto premesso porta a distinguere le seguenti forme:
    a) incuria, intendendo la carenza di cure fornite;
    b) discuria, quando le cure seppur fornite sono distorte, inadeguate se rapportate al momento evolutivo del bambino;
    c) ipercura, quando viene offerto, in modo patologico, un eccesso di cure. In questo gruppo è compresa la sindrome di Munchausen per procura, il medical shopping e il chemical abuse.
  3. Abuso sessuale. Tale forma di abuso è onnicomprensiva di tutte le pratiche sessuali manifeste o mascherate a cui vengono sottoposti i minori e comprende:
  • a) abuso sessuale intrafamiliare. Non riguarda solo quello comunemente considerato tra padri o conviventi e figlie femmine, ma anche quello tra madri e figli maschi nonché forme mascherate in inconsuete pratiche igieniche;
  • b) abuso sessuale extrafamiliare. Interessa indifferentemente maschi e femmine e riconosce sempre una condizione di trascuratezza intrafamiliare che porta il bambino ad aderire alle attenzioni affettive che trova al di fuori della famiglia.

H. Kempe (1978) descrive il bambino maltrattato come un bambino sottoposto a ripetute violenze di varia natura e gravità, da parte di adulti legati alla vittima da naturali rapporti di fiducia e responsabilità. Similmente per Montecchi (1998) si può parlare di abuso fisico o maltrattamento fisico quando “i genitori o le persone legalmente responsabili del bambino eseguono o permettono che si eseguano lesioni fisiche o mettono i bambini in condizione di rischiare lesioni fisiche”.
Ovviamente queste lesioni possono essere di natura e gravità diversa. In base alla gravità delle lesioni il maltrattamento fisico viene distinto in:
di grado lieve: è sufficiente un intervento medico ambulatoriale;
di grado moderato: le lesioni richiedono il ricovero in ospedale;
di grado severo: le lesioni determinano il ricovero del bambino in rianimazione e producono gravi conseguenze neurologiche o addirittura al morte.

Analizzando le circostanze in cui si manifesta l’episodio violento si constata che la maggior parte degli abusi fisici avviene tra le mura domestiche, in orario pre-serale e serale. Di solito il maltrattamento è preceduto da un momento di “crisi”, apparentemente banale ma che sottopone i genitori ad una fonte di stress insostenibile. Secondo quanto riferito dai genitori stessi, i fattori precipitanti sarebbero:
il pianto incessante e inconsolabile del bambino;
il bambino non vuole mangiare;
il bambino con il suo pianto interrompe il rapporto sessuale dei genitori;
il bambino si sporca;
il bambino ha una condotta che va contro le regole della famiglia o della comunità a cui appartiene tale da giustificare un trattamento disciplinare punitivo particolarmente severo;
una lite dei genitori sfocia nelle percosse al figlio, che funge da capro espiatorio.
Il maltrattamento, quindi, non consiste in un atto violento premeditato e razionale e suscita spesso grande angoscia e senso di colpa in chi lo ha compiuto (Ammaniti et al., 1981).
Riuscire a riconoscere tempestivamente l’abuso è fondamentale anche in vista della possibilità di un intervento preventivo. I segni fisici del maltrattamento sono i seguenti (Montecchi, 1998):
lesioni cutanee: ematomi, ecchimosi alle labbra, agli occhi, sull’addome; tagli e ferite in diverse parti del corpo e in un differente stadio di cicatrizzazione; ustioni, bruciature di sigarette; segni di morsi;
lesioni scheletriche: fratture degli arti superiori e inferiori e delle costole;
lesioni craniche: fratture craniche; emorragie cerebrali.
il bambino ha una condotta che va contro le regole della famiglia o della comunità a cui appartiene tale da giustificare un trattamento disciplinare punitivo particolarmente severo;
una lite dei genitori sfocia nelle percosse al figlio, che funge da capro espiatorio.
Il maltrattamento, quindi, non consiste in un atto violento premeditato e razionale e suscita spesso grande angoscia e senso di colpa in chi lo ha compiuto (Ammaniti et al., 1981).

Riuscire a riconoscere tempestivamente l’abuso è fondamentale anche in vista della possibilità di un intervento preventivo. I segni fisici del maltrattamento sono i seguenti (Montecchi, 1998):
lesioni cutanee: ematomi, ecchimosi alle labbra, agli occhi, sull’addome; tagli e ferite in diverse parti del corpo e in un differente stadio di cicatrizzazione; ustioni, bruciature di sigarette; segni di morsi;
lesioni scheletriche: fratture degli arti superiori e inferiori e delle costole;
lesioni craniche: fratture craniche; emorragie cerebrali.
Ovviamente per poter stabilire che si tratti di maltrattamento, l’indagine medico-legale dovrà escludere l’origine traumatica accidentale delle lesioni, valutando in particolare il numero delle lesioni riscontrate, la loro localizzazione e datazione, l’età della vittima.

La maggior parte degli episodi di violenza, infatti, si scatena su bambini molto piccoli, da 0 a 3 anni, e più frequentemente durante il primo anno di vita (Ammaniti et al., 1981); a questa età è più improbabile che le lesioni riscontrate abbiano origini traumatiche accidentali, provocate dal bambino stesso.
E’ fondamentale, a tale proposito, valutare anche l’atteggiamento dei genitori e verificare se esiste un’evidente discordanza tra la versione da loro fornita dell’accaduto e la natura e la gravità del danno fisico riscontrato nel bambino. Spesso i genitori maltrattanti si dimostrano scarsamente collaborativi, tendono a minimizzare o si rifiutano di dare informazioni o le forniscono in maniera riduttiva e contraddittoria; anche la loro reazione emotiva appare inadeguata alla situazione: si mostrano calmi, tranquilli, indifferenti o, al contrario, eccessivamente preoccupati e solleciti.
Accanto agli indicatori fisici, anche altre manifestazioni del bambino, aspecifiche se considerate singolarmente, all’interno di un quadro diagnostico più completo possono considerarsi indicatori comportamentali di maltrattamento (Farinoni, Come individuare il maltrattamento: gli indicatori, in Cesa-Bianchi, 1993):
paura del contatto fisico: il bambino ostenta indifferenza verso gli altri, rifiuta il contatto fisico, soprattutto con gli adulti, piange disperatamente se lo si sottopone ad esami fisici, ha paura dei genitori, si ritrae all’avvicinarsi dell’insegnante,ecc.;
tendenza all’aggressività o all’isolamento;
timore e diffidenza; cerca costantemente di controllare l’ambiente; è sempre sul chi vive.

Una volta riconosciuto il caso di maltrattamento, quando cioè si è constatato che le lesioni sul bambino non hanno origine accidentale, è inevitabile che l’attenzione si focalizzi sulla figura dei genitori, cioè sugli abusanti. Essi vengono dipinti dagli stereotipi comuni come individui violenti, disadattati, di scarsa intelligenza o addirittura patologici, che vivono in condizioni di degrado economico e sociale.
In realtà il maltrattamento è un fenomeno “trasversale”, che coinvolge famiglie di diversa appartenenza economica e culturale, e genitori le cui caratteristiche psicologiche non possono rientrare in un preciso quadro psichiatrico (Kempe C.H., Kempe R.S., 1980). Non è possibile quindi tracciare un profilo del genitore maltrattante, anche se, però, si possono evidenziare alcune caratteristiche che si riscontrano con prevalenza tra gli abusanti.

In primo luogo i genitori che maltrattano sono in prevalenza genitori biologici, di giovane età e di sesso femminile. Il maggior coinvolgimento delle madri potrebbe essere attribuito al fatto che ad epoche recenti, la donna ha rivestito in ruolo sociale più circoscritto alla famiglia e, come casalinga, passava materialmente più tempo con i figli (Ammaniti et al., 1981).
La giovane età, unita ad una precoce unione matrimoniale, potrebbe far ipotizzare un’immaturità affettiva dei coniugi che si tradurrebbe nella difficoltà ad assumersi gli oneri che il ruolo genitoriale ed educativo comporta.

Spesso il matrimonio è successivo ad una gravidanza indesiderata, oppure si tratta di nuclei familiari monoparentali in cui un coniuge
rimane da solo a prendersi cura del bambino; l’isolamento sociale, la mancanza di sostegno e di una rete di rapporti sociali significativi, è un altro elemento ricorrente.

A volte il genitore maltrattante presenta una patologia fisica, un handicap oppure un disturbo di ordine psichico o comportamentale.
Un elemento comune a molti genitori maltrattanti, infine, è quello di essere stati, essi stessi, vittime di abuso durante l’infanzia (violenza, trascuratezza, maltrattamento psicologico, ecc.).

Per quanto riguarda le vittime del maltrattamento bisogna dire che sono bambini molto piccoli (Ammaniti et al., 1981). Il fattore “età della vittima” appare particolarmente significativo in quanto:
il bambino molto piccolo è estremamente vulnerabile e dipendente e non può sottrarsi alle percosse, né, tanto meno, è in grado di denunciare i propri seviziatori;
il bambino piccolo mette a dura prova il normale funzionamento familiare, soprattutto la coppia genitoriale a cui impone un compito di riadattamento psicologico individuale e relazionale impegnativo; egli si presenta infatti, per sua natura, come
immaturo e richiedente ed esige molto dai genitori in termini di risorse personali.

Per ciò che concerne il sesso delle vittime, vengono maltrattati indifferentemente bambini maschi e femmine; capita che venga designato il figlio del sesso opposto a quello che il genitore avrebbe desiderato.
Inoltre un bambino maltrattato è spesso nato in seguito ad un’unione irregolare o una gravidanza indesiderata, nel caso sia stato concepito prima del matrimonio o immediatamente dopo, o sia il frutto di una relazione extraconiugale o di un abuso o di una relazione incestuosa.
Le radici dell’abuso andrebbero ricercate fin dalle fantasie dei genitori durante la gravidanza (Baldassarri, Come e quando nascono gli abusi all’infanzia, in Montecchi, 1998).

Una caratteristica frequente che accomuna molti bambini maltrattati è, infine, quella di avere alle spalle una storia perinatale particolarmente difficile: nascite premature, complicanze da parto, malformazioni o patologie congenite, handicap o malattie croniche (Gulotta, 1984).
Ovviamente anche alcune caratteristiche individuali del bambino possono esporlo maggiormente al rischio di maltrattamento:
irrequietezza, irritabilità, facilità al pianto, difficoltà alimentari o dell’addormentamento possono rendere un figlio, tra gli altri, il bersaglio privilegiato della violenza degli adulti (Ammaniti et al., 1981). E’ lecito, però, domandarsi in che misura questi comportamenti “difficili” siano davvero costituzionali o, invece, siano il risultato di un’interazione già disfunzionale tra genitore e figlio e che, una volta stabilizzati, non facciano che sollecitare ulteriormente risposte aggressive da parte dell’adulto.

Il maltrattamento psicologico la violenza psicologica verso un minore è, probabilmente, l’abuso più comune e più difficile da definire. Abusi psicologici accompagnano, infatti, anche il maltrattamento fisico e l’abuso sessuale; inoltre la trascuratezza e l’incuria esprimono sicuramente indifferenza affettiva e incapacità di cogliere i bisogni psicologici del bambino. Risulta, perciò, arduo individuare con chiarezza una forma di abuso psicologico intenzionale di tipo “puro”. Inoltre, quando non si accompagna ad altre forme di abuso è difficile riconoscerlo nelle vittime se queste non presentano altri segni più evidenti di violenza o sono troppo piccole per comunicare verbalmente le vessazioni subite.

La International Conference of Psycological Abuse of Children And Youth ha definito il maltrattamento psicologico di un bambino o di un adolescente l’insieme delle “azioni e delle omissioni che, sulla base delle conoscenze scientifiche e della cultura di un dato periodo, vengono considerate dannose sul piano psicologico. Vengono commesse individualmente o collettivamente da persone che per le loro caratteristiche (età, status, conoscenze, ruolo) si trovano in una posizione di potere rispetto al bambino, tale da renderlo vulnerabile. Si tratta di pratiche o di atteggiamenti che compromettono in modo immediato e a lungo termine il comportamento, lo sviluppo affettivo, le capacità cognitive o le funzioni fisiche del bambino” (Cofano e Oldani, Maltrattamento psicologico, in Cesa-Bianchi, Scabini, 1993).
Mastronardi (1996) cita alcuni esempi di maltrattamento e incuria emozionali quali:

abnormi e inappropriate vessazioni psicologiche;
privazione del contatto fisico;
privazione di sguardi diretti;
privazione di comunicazione verbale carezzevole;
eccessivo rifiuto nel riconoscere e migliorare un disturbo emotivo, una difficoltà di crescita emozionale, una difficoltà di apprendimento;
strumentalizzazione emozionale del figlio allo scopo di penalizzare indirettamente il partner.

Tutte le violenze, ma in particolare le forme di abuso psicologico, nascono da un’insufficiente o alterata percezione delle reali esigenze del figlio, delle sue caratteristiche individuali, delle difficoltà che egli incontra e che non è in grado di superare.
Il bambino, ancor prima di nascere, si trova ad occupare uno spazio mentale dei genitori, spazio fantasmatico ed affettivo che è definito dalle caratteristiche di personalità del singolo padre e della singola madre a livello individuale, dalla qualità della relazione condivisa dai genitori a livello di coppia e dalle relazioni che la coppia ha con il proprio ambiente sociale. Da parte sua il bambino non è affatto una tabula rasa; dispone, al contrario, di una sua personalità, sia pure allo stato potenziale, una valenza insatura che deve essere saturata dalle esperienze senso-motorie e dalla relazione affettiva con l’ambiente per potersi sviluppare.

E’ stato ampiamente dimostrato che sin dai suoi primi istanti di vita il neonato è un essere attivo nella relazione interpersonale, che non vive passivamente un rapporto unidirezionale, da un adulto ad un bambino che viene progressivamente modellato e strutturato, ma un rapporto bidirezionale in cui il comportamento di ognuno dei due partner modifica quello dell’altro, e tutti gli autori concordano nell’affermare che è proprio nell’incontro di queste due realtà, in questo rapporto originario, che vanno ricercate le distorsioni che portano all’abuso psicologico, il quale si configura innanzitutto come una carenza di empatia, base della funzione genitoriale, così essenziale per la costruzione del Sé infantile (Marinucci, 1989). Comprendere un bambino senza sovrapporgli le proprie esigenze di adulto implica infatti da parte del genitore la capacità di regredire alle necessità fondamentali di un piccolo bambino e quella di confrontarsi, senza pregiudizi, con quella specifica personalità in formazione.

Questo processo empatico, però, può essere disturbato da una grande quantità di cause, appartenenti al mondo interno del genitore, che vanno dal rifiuto primario alla sovrapposizione di un modello ideale di figlio al figlio reale, dalla massiccia proiezione di parti psichiche, paterne o materne, nel figlio stesso, alla carenza di un vero rapporto sia in termini di quantità che di qualità e di tempestività.
Il bambino nasce con un apparato di difese molto rudimentale ed è destinato a morire se non viene alimentato, protetto e curato da un adulto in grado di provvedere ai suoi bisogni essenziali con la necessaria continuità. Ma, al di là delle cure materiali, molto più importante per lo sviluppo della sua personalità è la qualità delle cure parentali e l’intenzionalità che l’adulto mette nelle sue operazioni quotidiane; in poche parole, il significato relazionale delle cure stesse. Il figlio, infatti, ha bisogno di sentirsi amato semplicemente perché esiste, ha bisogno di poter contare su una figura parentale che lo aiuti a superare le sue insicurezze, che gli decodifichi la realtà, che rispetti i suoi desideri e le sue paure, che lo aiuti a trovare i suoi limiti senza frustrare la sua fiducia di base (Marinucci, 1989).
L’incuria
Si parla di incuria quando le persone legalmente responsabili del bambino non provvedono adeguatamente ai suoi bisogni sia fisici che psichici in rapporto all’età e al momento evolutivo (Council Report, 1985; Kempe, Kempe, 1978). Rientrano quindi nel quadro dell’incuria anche quei casi in cui i genitori, pur occupandosi dei bisogni nutrizionali del figlio, non rispettano i suoi bisogni affettivi, emotivi e di socializzazione. Si possono avere, di conseguenza, diversi gradi di questo tipo di abuso, che vanno dall’abbandono al disinteresse per i bisogni emotivi del bambino. Il bambino molto spesso è soggetto a malattie croniche senza essere sottoposto a cure mediche o presentare disturbi della vista, dell’udito, dei denti, senza che vengano presi adeguati provvedimenti da parte dei genitori.
In generale si presenta come un bambino trascurato sotto diversi punti di vista:
nell’abbigliamento, spesso inadeguato alle esigenze del bambino sia in rapporto all’età, che al clima o alla situazione;
nell’igiene personale, per cui spesso questi bambini sono soggetti a dermatiti o ad altre patologie legate alla scarsa pulizia;
nell’alimentazione, che risulta in genere insufficiente sia sul piano qualitativo che quantitativo o, in alcuni casi,eccessiva ed estremamente disordinata ed allora il bambino trascurato può presentarsi denutrito oppure obeso.
Inoltre può manifestare un ritardo di accrescimento, sia relativamente al peso che alla statura, e un ritardo generale dello sviluppo psicomotorio che comporta un’acquisizione più o meno tardiva della posizione seduta, della deambulazione, e soprattutto della capacità di prensione e di manipolazione degli oggetti che testimoniano in modo evidente una notevole carenza della stimolazione ambientale.
A causa della trascuratezza e del disinteresse dei genitori, questi bambini sono anche maggiormente esposti ai pericoli, ed incorrono spesso in gravi incidenti domestici (ad esempio l’ingestione di sostanze tossiche) che il più delle volte sono determinati proprio dalla mancanza di vigilanza e attenzione da parte dell’adulto

Le conseguenze non sempre seguono la gravità dell’incuria, in quanto le forme più eclatanti vengono precocemente riconosciute, permettendo spesso un adeguato intervento; le forme più lievi purtroppo vengono identificate solo quando il bambino manifesta gravi disturbi, poiché i genitori, non “vedendo” il proprio figlio, non ne colgono le difficoltà di sviluppo (Moro, 1989).
La personalità e lo sviluppo di un bambino si realizzano attraverso fasi molto diverse tra di loro, ciascuna delle quali ha delle caratteristiche e dei bisogni psichici e fisici specifici; il genitore attento e comprensivo è sensibile a questi bisogni e modula su di essi il suo comportamento e le sue richieste nei confronti del figlio. Talvolta, però, ciò non si realizza, perché inconsapevolmente i genitori non riescono a comprendere e quindi ad adeguarsi alle necessità del bambino in quel particolare momento. Si determina così un’alterazione della qualità di vita e delle modalità di relazione del bambino con il mondo esterno, con ripercussioni sullo stato fisico, mentale e comportamentale.

Dott.ssa Anna Sorrenti – Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa