Il gioco nella psicologia umana

Ogni volta, dopo aver terminato di esaminare un piccolo paziente, mi siedo alla scrivania e parlo con i genitori, gli spiego i risultati della visita, cosa va bene, e cosa, eventualmente, dobbiamo curare, a quel punto il bambino comincia a giocare. In un angolo della mia stanza c’è un tavolino e delle costruzioni di legno, dei fogli e delle matite colorate per disegnare, alcuni libri di favole e qualche giornaletto. 
Il piccolo comincia a rovistare tra quella roba, si dimena, si diverte, sa che la visita è terminata e non ha più nulla da “temere” da quel signore in camice bianco, addirittura scherza con me ed io con lui. I genitori, invece, si agitano sulle sedie, s’infastidiscono e alla fine sbottano.
– Ecco dottore, lo vede anche lei, non fa altro che giocare! Tutto il santo giorno.-
Ora, cosa mai dovrebbe fare un bambino: lavorare? Fare le faccende domestiche? Star zitto e fermo come un bravo soldatino?
Certamente no, un bambino deve, oserei dire per definizione, giocare.
Il gioco è il prodotto principale della fantasia, dalla fantasia è alimentato, fortificato, organizzato.
Si gioca a qualsiasi età. E’ bene ricordarlo che lo facciamo, anche se troppo di rado, anche noi adulti, non giochiamo forse a carte? A tennis? Quando andiamo allo stadio, al cinema, al teatro, non è certo per lavorare. Si tratta semplicemente di giochi diversi, ma sempre giochi. Gioca il lattante guardando le “apine” che fanno il girotondo sulla culla, è pure un gioco quando si guarda stupefatto il pollice prima di succhiarlo, quando tira una funicella cui è attaccato un sonaglio. Gioca il bimbo con le costruzioni, lo scolaro col pallone, l’adolescente col motorino o andando in discoteca, magari insieme a qualche bella ragazzina; son giochi anche quelli…
Fermatevi a guardare vostro figlio mentre gioca. Il bambino appare rapito in un suo mondo fantastico, a noi totalmente invisibile, ma che per lui, è bene ricordarlo, in quel momento rappresenta il mondo reale, quello “vero”, s’immedesima, gioisce, si arrabbia, piange persino.
Non dobbiamo credere che attraverso il gioco il bambino perda di vista la realtà, semplicemente se la prefigura in un modo più piacevole, così che un giorno potrà entrarci più sereno, senza inquietudine o paure, la fantasia non ci allontana dalla concretezza, al contrario è il primo gradino verso la realtà.
Un grande teorico della psicoanalisi ha scritto che non ci sarebbe nessuna realtà se prima non ci fosse la fantasia, pensate quanto sia vera questa semplice frase. Se i ricercatori del passato non avessero avuto dei “sogni” da realizzare probabilmente non avremmo gli aerei, i voli spaziali, il telefono, la televisione e così via.
Non dobbiamo negare ai nostri figli l’opportunità di nutrirsi di sogni fantastici che sono il concime d’ogni forma di cultura; il “vedere” con gli occhi della mente, fantasticare cioè, sta alla radice delle principali capacità dell’uomo: amare, godere, soffrire, pensare, temere. Quando il bambino gioca compone, come un architetto, scene immaginarie fatte di ricordi, sensazioni, di cose inventate, frutto della sua fantasia, e come detto, vi ci s’immerge come fossero reali.Tutto nella vita del bambino è gioco, non c’è attività, gesto che ne sia estraneo, il gioco, come sostengono molti studiosi della mente infantile, è una “funzione biologica” vale a dire un insieme di operazioni finalizzate a mantenere in essere le capacità del piccolo. Capacità che, senza gioco, andrebbero incontro all’estinzione per mancanza d’esercizio. E questo sin dal primo giorno di vita.