La psicologia dell’addio

Distacco, separazione sono temi ricorrenti nell’arte, nella poesia, nel cinema.
“Non lasciarmi!” (“ne me quitte pas”), è un grido struggente che risuona in canzoni popolari di tutte le culture, a rappresentare una delle paure più profonde radicate nella natura umana: la perdita dell’oggetto d’amore.

 
La propensione a stringere e mantenere relazioni emotive intime è scritta nel nostro patrimonio genetico e presente dai primi giorni di vita, all’inizio sotto forma di riflessi innati (pianto, suzione, prensione, orientamento, sorriso) che diventeranno, in seguito alle risposte dell’ambiente, schemi di comportamento sempre più sofisticati.
L’angoscia di abbandono compare nel bambino piccolissimo non appena si rende conto di non essere un tutt’uno con la madre. Non c’è niente di più angoscioso del pianto di un neonato quando vede la madre allontanarsi e teme che non torni più.
L’ansia di separazione è sempre stata considerata una delle prime manifestazioni psicopatologiche infantili, alla base di sintomi come la fobia della scuola o di paure che possono gettare un’ombra sull’infanzia, come il timore del divorzio dei genitori.
Anche nell’adulto questo sentimento atavico può riemergere in modo più o meno violento di fronte ad una perdita, rievocando lo stesso senso di vuoto e l’angoscia in cui precipitavamo da piccoli.
La perdita rappresenta un “lutto” e può essere vissuta come una grave minaccia alla propria esistenza, un’amputazione di una parte di sè. Spesso si accompagna alla percezione di non poter sopravvivere senza l’altro, e ad una visione catastrofica della vita e del mondo.
In questo momento possono venire a galla inaspettati aspetti nascosti della personalità: attacchi di panico, depressione o addirittura far esplodere la follia.
E’questo lo scenario che fa da sfondo alla maggior parte dei crimini passionali, così inquietanti anche perchè nascono sull’onda di sentimenti connaturati al genere umano. Spesso si tratta di persone insospettabili, rispettabili, rivestite da una coltre di normalità, in cui la perdita di un legame affettivo risveglia sentimenti primordiali.
Quando la reazione alla separazione diventa patologica?
Il tema del distacco tocca le corde più sensibili dell’animo umano perchè spezza uno degli istinti più forti non solo nell’uomo ma anche in alcune specie animali: l’attaccamento, inizialmente alla madre, poi spostato sulla persona amata.
“L’attaccamento” è un concetto usato in psicologia per esprimere l’insieme di comportamenti, pensieri, emozioni orientati alla ricerca della vicinanza, della protezione e del conforto da parte di una figura privilegiata
La teoria dell’attaccamento studia i processi attraverso i quali si costruiscono quei modelli interni da cui dipenderà come ci rapportiamo nei legami intimi, ossia come ci rappresentiamo l’altro, come viviamo noi stessi, le nostre aspettative, le nostre paure. Tali schemi, che si costruiscono nel bambino piccolissimo (tra i 7 e i 15 mesi) agiscono al di là della consapevolezza e organizzano le informazioni relative ai rapporti affettivi, determinando cosa portiamo all’attenzione, che significato diamo agli eventi, che emozioni ci suscitano, che comportamenti adottiamo in risposta. Lo stile di attaccamento rispecchia l’unicità delle aspettative di ciascun individuo riguardo alla disponibilità degli altri per la soddisfazione del bisogno di protezione, vicinanza e condivisione.
In questo contesto assumono un peso rilevante le esperienze tra il bambino e la figura che si prende cura di lui, poiché rivestono una funzione cruciale nella costruzione dell’identità personale e nel modo di rapportarsi agli altri.
A volte esperienze infantili non ci permettono di interiorizzare l’altro come base sicura, come presenza interna stabile e positiva, minando anche la costruzione della propria identità e individualità.
La reazione all’abbandono può divenire patologica quando il primo legame di attaccamento non è stato sicuro.

Esperienze attuali possono rievocare antiche ferite, facendo riaffiorare costellazioni di angosce primitive, mai metabolizzate, confermando le aspettative di tradimento, inaffidabilità da parte dell’altro e un’immagine di sè come vulnerabile, destinato ad essere ferito, rifiutato nei rapporti.
La separazione diventa non solo perdita dell’altro ma anche perdita di sè, come persona degna di amore.
Il mondo diventa improvvisamente un deserto privo di senso, dove niente è stabile e ogni rapporto intimo porta con sè il fantasma dell’abbandono e del dolore insostenibile che comporta.
Gli stili di attaccamento vengono generalmente suddivisi in 4 categorie generali:
Configurazioni di tipo B (sicuri/autonomi)
I soggetti sicuri/autonomi hanno vissuto nell’infanzia esperienze di protezione, conforto, condivisione emotiva che gli hanno permesso di costruire una base sicura. Essi riconoscono il proprio bisogno degli altri e la propria autonomia.
Di fronte alla separazione sono in grado di gestire le emozioni negative, e hanno la fiducia di trovare nuovi rapporti gratificanti.
Configurazioni di tipo C (invischiate/preoccupate)
Dalla storia personale dei soggetti invischiati/preoccupati emerge l’imprevedibilità e l’incostanza delle figure di riferimento.
Intrappolati nelle loro esperienze infantili, essi possono manifestare forte ansia nelle relazioni intime, con paura di essere abbandonati e forti spinte al controllo e alla gelosia, oppure sviluppano atteggiamenti di dipendenza e compiacenza. Cercano di controllare l’altro con la rabbia, di mantenere viva l’attenzione anche quando non ne hanno bisogno, alternando comportamenti aggressivi e comportamenti di richiesta di contatto e consolazione.
Vi è una difficoltà a creare un identità autonoma, a separare il passato dal presente, ad integrare sentimenti negativi e positivi. Queste persone hanno bisogno dell’altro per regolare le proprie emozioni e mantenere un senso di sè stabile, per questo vivono la separazione con ansia estrema
Configurazioni di tipo A (distanzianti)
Il modello interno di queste persone si costruisce intorno una figura genitoriale rifiutante rispetto alle loro richieste di conforto. Il genitore non è in grado di fornire empatia ma accudisce il bambino solo nei bisogni pratici. Questo bambino interiorizza il disagio del genitore di fronte all’intimità e al contatto emotivo e percepisce la distanza come l’unica modalità che sente efficace per relazionarsi all’altro. Le persone distanzianti affermano la propria indipendenza e la loro forza. Sono orientati al compito e cercano di fare tutto da soli, con difficoltà a chiedere aiuto. Si caratterizzano per un buono sviluppo cognitivo e una rabbia congelata. Mostrano un atteggiamento di distanza dalle relazioni intime delle quali cercano di minimizzare l’importanza, possono sviluppare forti difficoltà a comunicare sul piano dei sentimenti, difficilmente tollerano la vicinanza emotiva. La difficoltà a riconoscere ed esprimere le emozioni fa si che esse vengano spesso somatizzate dando luogo a disturbi fisici.
Configurazioni irrisolte/disorganizzate(D):
Questa categoria comprende soggetti classificabili nelle precedenti tre categorie, differenziabili solo sulla base della presenza di lutti o traumi non risolti, legati al maltrattamento infantile, o a lutti non risolti nella vita del genitore (depressione della madre).
La tendenza ad avvicinarsi e quella ad allontanarsi inibiscono l’un l’altra e il soggetto sperimenta emozioni che travolgono la sua capacità di organizzare un comportamento coerente.
Le separazioni possono rievocare gli stati emotivi legati al lutto non risolto.

Il tipo di attaccamento tende ad essere piuttosto stabile, può comunque modificarsi in seguito ad esperienze particolarmente significative. La psicoterapia può costituire un’esperienza emozionale correttiva in grado di modificare i vecchi schemi e interrompere i circoli viziosi che rinnovano le esperienze traumatiche del passato.