Lavoro a turni e qualità della vita lavorativa

INTRODUZIONE
L’organizzazione dei tempi di lavoro in turni che si susseguono nelle 24 ore, si va sempre più diffondendo cosicché la ricerca sulle conseguenze che esso può avere nella vita dei turnisti e delle loro famiglie, è molto ricca; da essa si delinea un quadro perlopiù problematico, infatti sono state riscontrate in numerose ricerche influenze negative del lavoro a turni sullo stato psicofisico sulla vita sociale e sulla famiglia dei turnisti. METODOLOGIA

LE IPOTESI

Partendo da questi presupposti le nostre ipotesi sono fondamentalmente due:

1. Coloro che hanno un carico familiare – almeno un figlio – mostrano un grado di benessere minore rispetto a coloro che non hanno un carico familiare.

2. Tra coloro che hanno un carico familiare, mostrano un grado di benessere maggiore quelli che utilizzano strategie di coping attive, o di impegno

(Lo scopo generale della ns ricerca è dimostrare che il grado di benessere degli individui dipende dalla loro capacità di fronteggiare una situazione oggettivamente avversa, più che dalla situazione stessa).

IL CAMPIONE

La popolazione è formata dagli infermieri professionali dell’Azienda Ospedaliera Careggi di Firenze

51 infermieri professionali + 32 partners
16 maschi
35 femmine
età media 34.51 anni
33 conviventi con il partner
18 conviventi con la famiglia di origine o soli
29 non hanno figli
22 hanno figli (15 soltanto 1)
42 sono in servizio da meno di quindici anni

Il loro sistema di turni è denominato “turno in quinta”, ruota su 5 giorni con questa sequenza: pomeriggio – mattina – notte – recupero – libero. I turni di mattina e di pomeriggio sono di sei ore, mentre quello della notte è di undici ore.

GLI STRUMENTI

Abbiamo utilizzato due interviste: una per il turnista e una per l’eventuale partner convivente.

L’intervista al turnista, complessivamente composta da 29 domande, è divisa in due sezioni ben distinte:

la prima sezione composta da domande di tipo biografico, da domande riguardanti il lavoro, tese a valutare la soddisfazione al lavoro, concernenti la famiglia e il rapporto di coppia, riguardanti la vita extrafamiliare , il tempo libero, la vita sociale, infine domande tese a verificare l’uso o meno di palliativi per affrontare situazioni stressanti, come consumo di caffè, di fumo e assunzione di tranquillanti.

Per la seconda sezione, abbiamo utilizzato una parte di una batteria di questionari ideati per rilevare la severità dei problemi sperimentati come risultato del lavorare a turni, lo STANDARD SHIFTWORK INDEX. Le domande che abbiamo utilizzato riguardano la valutazione del carico di lavoro nei diversi turni, sia fisico che mentale, ritmo pressante e stress emotivo, il livello di soddisfazione per il tempo libero che il LAT lascia per poter svolgere diverse attività, le strategie di coping utilizzate sia in ambito familiare che in ambito sociale.

Per quanto riguarda l’intervista al partner del turnista essa è composta da 7 domande circa la valutazione del peso che il LAT può avere sul rapporto di coppia, sul ménage familiare e sui rapporti sociali della coppia.

Il pre-test – l’intervista prima di essere sottoposta ai ns. soggetti, è stata sottoposta a 4 coppie in cui uno dei due lavorava a turni all’interno della stessa struttura ospedaliera. Questo ci ha permesso di mettere a punto una griglia di risposte possibili ad ogni domanda.

LA SITUAZIONE DI INTERVISTA

Le interviste si sono svolte tutte presso le abitazioni dei nostri soggetti in orari da loro stabiliti.

LA REGISTRAZIONE DEI DATI

Avveniva barrando sulla nostra griglia di risposte, quella che veniva menzionata dal soggetto che avevamo davanti. La parte del SSI, invece, la compilavamo insieme al soggetto.

I RISULTATI

PRIMA IPOTESI

La nostra prima ipotesi non ha trovato conferma nei risultati che abbiamo ottenuto. Applicando il test T, abbiamo potuto verificare come non esistano differenze nei livelli di benessere tra coloro che hanno figli e coloro che non ce l’hanno.

SECONDA IPOTESI

Anche la nostra seconda ipotesi non ha trovato conferma. Infatti i risultati che abbiamo ottenuto applicando la correlazione, ci mostrano come non esistano relazioni significative tra strategie di coping, siano esse di impegno che di disimpegno e livelli di soddisfazione, sia in coloro che hanno un carico familiare che in coloro che non l’hanno.

ALTRE INDAGINI

1. Il nostro campione utilizza molto di più strategie di coping di impegno piuttosto che di disimpegno questa differenza viene mantenuta anche all’interno dei due sub-campioni. Abbiamo notato però un livello di utilizzo di strategie di coping globalmente ridotto se paragonato a quello riscontrato nella popolazione di turnisti studiati da Barton et al..nel 1995.

2. Relazione tra strategie di impegno e indicatori di gravosità percepita: si è trovata una relazione positiva tra strategie di coping attive e indicatori di gravosità del lavoro percepita; risultato che è sostanzialmente in linea con i risultati ottenuti anche da Barton et al. nel 1995; dove invece divergono i nostri risultati da quelli dello studio citato è nella relazione tra strategie di disimpegno e indicatori di gravosità del lavoro percepita: nel nostro caso la relazione è infatti verificata non su tutte le dimensioni ma soltanto sui ritmi e stress.

3. Relazione tra gravosità percepita e livello di soddisfazione; non abbiamo riscontrato alcuna relazione, eccezion fatta per una relazione di segno negativo tra livello di soddisfazione e percezione di essere sottoposti ad un ritmo pressante.

CONCLUSIONI

Alla fine di questo lavoro abbiamo maturato la convinzione che in realtà, il mondo dei turni, almeno di quelli che abbiamo preso in esame, non sia così drammatico come tanta letteratura lo dipinge. Dai colloqui avuti con gli infermieri, dalle risposte che essi ci hanno dato, le impressioni che ne abbiamo tratte sono di persone soddisfatte.

In realtà non possiamo sapere se all’origine di questa soddisfazione generalizzata ci sia una mancanza effettiva di agenti stressogeni o che le strategie di coping adottate dai soggetti sono state tanto efficaci da eliminare completamente la fonte di stress, l’unica cosa che possiamo fare è osservare i risultati e le frequenze che abbiamo ottenuto, da essi infatti si rende evidente la conferma di questo diffuso benessere.

Anche per quanto riguarda i partners non ci sembra che essi mostrino problemi particolari, anzi come si può vedere bene dalle frequenze che abbiamo ottenuto essi si sono ben adattati ai turni dei loro compagni e non sembrano soffrirne.

Riteniamo di non aver raggiunto delle risposte ma piuttosto aver creato nuove domande e spunti per ulteriori approfondimenti:

1. Continueremmo a riscontrare questo diffuso benessere se tra qualche anno ripetessimo lo stesso esperimento sulle stesse persone, in altre parole sarebbero sempre questi i risultati se la nostra ricerca anziché trasversale fosse longitudinale?

2. Riteniamo che sarebbe utile considerare il reparto di provenienza dei nostri soggetti come variabile.

3. Per quanto riguarda il partner e il supporto che è in grado di fornire al turnista, sarebbe opportuno verificare se egli lavora e con che tipo di turno.

In conclusione, considerato che i turni sembrano essere d’aiuto alle famiglie, considerato che chi fa i turni riesce a seguire i figli in modo adeguato, ma soprattutto considerato che chi fa i turni si ritiene soddisfatto e per nessun motivo si ritiene svantaggiato rispetto a chi fa i turni normali, abbandoniamo decisamente il quadro del turnista sofferente posto ai margini della società e della propria famiglia.

Dott.ssa Erika Spina
Psicologa – Firenze