Sinfonia di cure: scienze musicali e neurologia

Così la musica plasma il cervello e lo aiuta a recuperare memoria Nuovi studi confermano la relazone. Dagli effetti sull’ictus alla capacità di accrescere il quoziente intellettivo

di Susanna Jacona Salafia

Neuromusic”, ovvero le scienze musicali e la neurologia. Un dialogo aperto tra musicologi e neuroscienziati, per capire come l’ascolto (ma anche lo studio) della Musica ha effetti sul nostro cervello e proprietà neuroriabilitative. Un “connubio”, spesso contestato, sul quale ha preso invece posizione a favore, con un recente articolo su Brain (che ha dedicato un intero numero alla Neuromusic), un neurologo di fama mondiale come Oliver Sacks. Lo scienziato è noto per aver fatto risvegliare, nel 1973, alcuni suoi pazienti, in coma da piu di vent’anni, grazie all’allora rivoluzionaria terapia con il farmaco L-dopa.

Negli Usa, in alcune corsie ospedaliere, si utilizza già la filodiffusione musicale, proprio come terapia adiuvante per i pazienti, mentre si moltiplicano i corsi, per manager o promotori finanziari, di “training vocale”, per superare così lo stato d’ansia e migliorare le loro performance intellettive. Nella settimana internazionale dedicata al cervello (Brain Week), scopriamo quindi che le sperimentazioni cliniche che hanno dimostrato l’influenza della musica o del suono vocale sulla nostra attività cerebrale sono ormai svariate. Attraverso vari studi di imaging funzionale (il monitoraggio del flusso sanguigno nelle varie aree cerebrali) si stanno individuando i circuiti neurali che vengono attivati o sono sensibili al suono musicale. Un dato che mette seriamente in dubbio la scetticità finora avanzata (e in alcuni casi giustificata) nei confronti della musicoterapica neuroriabilitativa.

Il più recente studio a favore viene da Magdeburgo, in Germania, dal Dipartiminto di Neuropsicologia dell’Università “Otto von Guericke”. Qui venti pazienti, colpiti da paresi dell’arto sinistro o destro, a seguito di ictus, hanno migliorato la loro attività motoria, con un training di musicoterapia. I progressi riguardano la “precisione, velocità e leggerezza” del movimento, testati peraltro con il sistema Zebris, una trasposizione analitica computerizzata che non lascia spazio ad approssimazioni.

L’esperimento,pubblicato sull’ultimo numero del prestigioso Journal of Neurology, ha messo a confronto due campioni di 20 pazienti, con gli stessi problemi neuroriabilitativi degli arti superiori. Uno dei gruppi è stato sottoposto a una terapia adiuvante (oltre a quella convenzionale) basata sull’uso di una pianola elettrica o di una batteria per tre settimane; l’altro gruppo, invece, ha ricevuto solo la riabilitazione convenzionale. Miglioramenti più veloci e qualitativamente più alti dunque nel primo gruppo rispetto al secondo, alla verifica con il test “Zebris”.

Degli effetti riabilitativi della musica per i pazienti di ictus è convinta anche la American stroke (ictus) association, che ha realizzato anche un decalogo su quando e quanta musica ascoltare. Un interscambio dunque ormai avviato tra Musica e Neuroscienza, sul quale lavora incessantemente in Italia, credendoci molto, la fondazione “Piefranco e Luisa Mariani”, una onlus di Milano che finanzia la ricerca in neuropsicologia infantile. La fondazione ha organizzato degli importantissimi eventi internazionali di Neuro¬music, l’ultimo dei quali (“The Neurosciences and Music”) a Lipsia, dove si sono confrontati oltre un centianaio di neurologi e musicologi.

Gli studi illustrati al Congresso sono stati poi pubblicati sugli Annals of the New York Science Academy. Il controverso “effetto Mozart” e le maggiori capacità di memoria (formare immagini mentali e ragionare in base a queste) che produce, sia pure temporaneamente, l’ascolto di questa musica (una teoria del ’93 dei fisici Gordon Shaw e Frances Rauscher) ha trovato ulteriori conferme. Dopo le immediate smentite e la riconferma, nel ’97, dei due autori, pubblicata su Nature, ancora nel 2004 e nel 2006, rispettivamente all’Università del Wisconsin e al Mind Institute in California, l’esperimento è stato ripetuto. Alcune batterie di topolini sono state sottoposte all’ascolto della Sonata K448 di Mozart per 12 ore al giorno per 10 settimane.

Sebbene l’imaging funzionale abbia dimostrato che la musica non attiva le aree cerebrali del ragionamento spazio-temporale, tipiche della memoria, i topolini riuscivano sempre a orientarsi e uscire più facilmente dal labirinto, con un minor numero di errori rispetto ad un altro campione. Alla MacGill University di Montreal, il “neuromusic scientist” Robert Zatorre ha applicato un imaging funzionale a un gruppo di venti volontari mentre ascoltavano la loro musica preferita. A dispetto delle previsioni, non veniva attivata la corteccia ma diverse aree cerebrali. “Era come se l’intera materia grigia si accendesse come un albero di Natale”, ha commentato Zatorre nel suo studio pubblicato.

Inviato da Corriere della Sera